Amedeo Minghi a Monaco
La musica italiana è cresciuta in qualità e oggi produciamo forse la migliore musica leggera del mondo. Il problema sta semmai nei media, che invece non propongono più le cose buone, e ripetono solamente ciò che ha successo” A latere del Festival di Monaco della canzone d’autore, il Corriere incontra Amedeo Minghi
Incontriamo Amedeo Minghi al München-Festival della canzone d’autore. Che impressioni ha della terra tedesca?
Ho già incontrato il pubblico tedesco. Canto in italiano ma sono compreso. Il linguaggio musicale è simile in tutto il mondo e i sentimenti si somigliano.Cominciamo dalle critiche che ho sentito. Alcuni Le rimproverano di essere troppo sentimentale. Che ne pensa?
Intanto è la prima volta che lo sento dire. Non c’è nessuno di troppo sentimentale. Il mondo, anzi, avrebbe bisogno di essere più sentimentale, meno fiscale.Oggi la società è diventata una grande banca, mentre io ho ancora, al contrario, la speranza che riusciremo ad essere ancora sentimentali, che riusciamo ancora a godere dei sentimenti che sono più importanti dei soldi.
La musica italiana non si sente moltissimo qui in Germania, perché?
Al contrario! La musica italiana è cresciuta in qualità e oggi produciamo forse la migliore musica leggera del mondo. Il problema sta semmai nei media, che invece non propongono più le cose buone, e ripetono solamente ciò che ha successo. Quindi la grande qualità della musica italiana non è messa in onda. Quando riusciamo ad uscire abbiamo un successo strepitoso.Eppure mi sembra che questa musica americana sia sempre più invadente…
Il discorso è complesso. La musica italiana resta una grande realtà in Italia. Gli altri Paesi europei importano il 90% della musica che consumano, noi no. Anzi, abbiamo tanto successo in casa nostra che non abbiamo interesse per l’estero. È vero comunque che talvolta siamo stati provinciali, ma ho fiducia nel fatto che in quattro anni cambierà il panorama.Giovani validi all’orizzonte ne vede?
Chi doveva affermarsi della generazione dei giovani si è affermato. La Pausini, Ferro... Quelli della mia generazione sono proiettati nel campo internazionale. Abbiamo una musica assolutamente tradizionale e nuova allo stesso tempo, unica in Europa.Le cito una canzone a cui sono particolarmente affezionato: Anita. Mi potrebbe raccontare come è nata?
Andai a Caprera, una volta, e, come la maggior parte degli italiani che ci vanno, pensavo di trovarla sepolta insieme a Garibaldi. Invece no. Garibaldi è sepolto con i suoi parenti, ma Anita, che pure tanta parte ha avuto nella sua storia e in quella del nostro Paese, non c’è. È sepolta a Roma.Sono andato allora a rileggermi la sua storia: soprattutto quella di quei dieci anni vissuti con Garibaldi. Una storia bellissima. Spero di portarla in scena in un musical. Ugo Chiti ha scritto la traccia e sta per mandarmi una stesura sulla quale inizierò a lavorare.
Mi racconti un episodio particolarmente bello e uno particolarmente brutto della Sua carriera…
Un episodio bello: Nel 1995 ho cantato per Giovanni Paolo II, da cui è nato un videoclip, l’unico al mondo con il Papa. Uno spiacevole: ero in un teatro in Romagna, vicino a Cesena. Ero convinto di fare un brutto spettacolo.Alla metà del secondo tempo ho detto al pubblico: “Chiudo qui perché questo spettacolo non ve lo meritate”. Avevo la febbre, ero sotto antibiotici, non mi sentivo all'altezza. Ho costretto l’impresario a restituire i soldi. In realtà il pubblico non si era accorto di niente e si meravigliò di questa mia intenzioni.
Mi rimasero comunque grati per la sincerità. Lo ricordano ancora oggi con simpatia. Tutti, tranne il mio impresario.
Agèrone Italiano